Viaggiare per me non vuol dire solo spostarsi fisicamente e vedere città nuove o paesi lontani. Se si legge la definizione della parola "viaggio" su Wikipedia viene anche definita così: "Il viaggio può essere inteso non solo in senso fisico, in un contesto spazio temporale, ma anche in senso metaforico come espressione di abbandono, ricerca interiore, desiderio". Ed è di questo aspetto che voglio parlare oggi in questo post.
Non c'è dubbio, per chi come me ama conoscere posti nuovi, viaggiare nel vero senso della parola - e quindi allontanarsi da dove si vive - è la cosa più bella che c'è. Ma stamattina pensavo a tutte quelle persone che vorrebbero farlo e non possono perché magari hanno problemi personali, economici o solamente sono bloccati dalla paura (c'è veramente tanta gente che pur di non prendere l'aereo preferisce rimanere a casa).
E oggi grazie alla tecnologia e internet è possibile farlo senza spostarsi (anche se non è proprio la stessa cosa!). E' anche per questo che esistono i blog di viaggi, per far sognare le persone che ci leggono e per partire noi stesse con la mente e tornare a quel viaggio, in quel paese, in quel preciso momento in cui abbiamo conosciuto persone fantastiche. E questo in particolar modo nei periodi più tristi o quando ci succedono cose brutte.
Ho sempre amato leggere e le letterature straniere, in particolare quella inglese e irlandese e ho sempre legato il viaggio alla letteratura.
Spesso sono gli stessi libri che ci portano in paesi lontani o ci fanno conoscere particolari di una certa città che ci piace, così che poi li andiamo a cercare una volta lì. Nel mio caso l'ho fatto dopo aver letto il libro di Dan Brown "Il Codice Da Vinci". Da molti è stato criticato, a me invece è piaciuto molto sia per l'idea di base sia perché mi ha fatto conoscere particolari di alcune città come Parigi e Londra che ignoravo. Così quando sono tornata a Parigi sono andata a cercare la Linea della Rosa e le borchie di ferro che ne segnano il passaggio per molte strade del centro, ma soprattutto al Louvre.
Ho letto su internet qualche giorno fa dell'esistenza del Blog Book Tour, un'idea molto originale che viene dall'America e che consiste nel promuovere un libro di uno scrittore on line. Così ho pensato di pubblicare sul mio blog un racconto di un mio amico scrittore, Diego Rossi, che ha partecipato nel 2007 a un concorso letterario "CaroAutobusTiScrivo" organizzato dall'Azienda Trasporti di Verona intitolato "Il tuo racconto di viaggio". I dieci racconti selezionati e pubblicati in una raccolta speciale avevano tutti come tema principale il viaggio, visto da tutti i punti di vista.
Il racconto di Diego si chiama "La Bellezza" ed è stato poi successivamente pubblicato dalla casa editrice Rubbettino in una raccolta di suoi racconti dal titolo "Io sono cattivo".
Qui trovate la sua pagina FB.
Qui trovate la sua pagina FB.
"Puoi avventurarti lontano una vita per scoprire che la meta del tuo viaggio era sempre stata lì, vicino casa".
Questa è la frase che più mi ha colpito di questo racconto e che mi ha ispirato questo post.
Anche a me è successo: da buona italiana esterofila ho sempre amato viaggiare ma dopo tanto tempo lontano da casa ne ho sentito la mancanza ed è proprio stando all'estero che è cresciuto dentro di me il senso patriottico e di appartenenza alla mia città.
Mentre scrivo questi miei pensieri, ricordo con piacere le parole di una bellissima canzone di Michael Bublè "Home" in cui esprime sentimenti di nostalgia per casa sua mentre si trova in giro per il mondo:
"Another summer day has come and gone away
In Paris and Rome but I wanna go home"
Vi lascio quindi alla lettura di questo bel racconto, spero vi piaccia!
La "Bellezza"
La coltre di nebbia aggrediva il paese. Appesa ai lampioni era velo di seta. Scivolava tra i ciottoli, ingoiando le case e inseguendo direzioni aeree. Sfiorava le cime dei monti, giocando a raggiungere il sole, coprendolo, lasciandolo solo, galleggiando nella prima ghirlanda di luce. Non si capiva dove volesse arrivare, saliva su, più su, fino all’orlo dell’orizzonte, fin dove arrivavano i sogni dei bambini. C’era stato un tempo, da ragazzo, in cui percorrevo lo stesso tragitto a piedi, ogni mattina, per raggiungere la mia scuola. Avrei voluto partire per non tornare mai più. Staccarmi dalle cose come riusciva a fare solo la nebbia. Avevo pagato poche sterline l’aereo per Londra, allora leggevo John Fante e sognavo:
“Il viaggio è perdersi e cercare... e non trovare altro che il cielo... sono ancora qui... ma forse sono già lontano...
io sono sempre pronto... pronto a prendere il volo...
ho tanta voglia di scappare via... ho solo il desiderio di vivere fino in fondo...”
Eccomi infine, tornato nel mio paese dopo essere fuggito lontano. Le stagioni conservavano immutati i vicoli angusti, così estranei alla frenetica evoluzione delle città visitate. Al centro della piazza trovai la fontana col chioccolio impacciato di sempre. Sullo sfondo, il portone sproporzionato della chiesa dava l’idea di essere stato rubato a una cattedrale e, poi, trapiantato sulla sua facciata rugosa. Smisi di camminare, facendo l’unica cosa che non si dovrebbe mai fare: mi voltai indietro. Bastò un istante… un istante interminabile durante il quale chiedevo alle cose dove fosse finito il fantasma della mia gioventù. Come poteva viaggiare il tempo a velocità tanto diverse? Da una parte percepivo le città risucchiate in vortici chiassosi, dall’altra stava il paese adagiato su un cuscino di bisbigli. Vivevo la medesima contraddizione in me stesso, quasi che l’esistenza si svolgesse con due ritmi diversi. Affrontavo la maturità, raggiungendo con la mente i tempi spregiudicati dell’adolescenza e, vittima della televisione, aspettavo la domenica, con la speranza di vedere il Verona vincere il campionato, almeno una volta ancora, prima di morire. Fiorì un sorriso sulla mia amarezza. Forse la meta di ogni viaggio è una soltanto, la ricerca della bellezza. No? Né esteriorità, né superficie. Non conosce misure fisiche la bellezza, non è donna perfetta, invitante, che ti supplica di baciarla da un cartellone pubblicitario sulla statale. La bellezza è la memoria di quanti ti hanno tenuto per mano. La mia unica ambizione si ridurrebbe a quella di assomigliare a mio nonno. Pensai. Lui sì, era bello. La bontà si sgretolava nello stesso modo in cui l’ombra incontrava la luce. Ricordai la volta in cui litigò col vicino, aspramente, perché continuava a legare il proprio pastore tedesco mentre il nonno, con disinvoltura, non smetteva di scioglierlo. Avevo appena cominciato a vedere il mondo, intuivo un briciolo della forza delle parole, eppure rammento con soddisfazione le tracce di quella discussione:
- Nemmeno un cane merita la catena!
E il vicino:
- Che ne sa lei di animali? Potrebbe ferire qualcuno o essere ferito.
- Potrebbe.
- Potrebbe distruggere siepi, scavare fossati.
- Potrebbe.
- Potrebbe partire, perdersi per sempre, non fare più ritorno.
- Effettivamente potrebbe.
- Vede, è di razza purissima…
Allora mio nonno tirò fuori un sorriso, difficile da immaginare se non lo si è mai visto. Era come se lo accompagnasse una luce e lui la nascondesse chissà dove per poi tirarla fuori, all’improvviso, per diventare allora visibile a tutti, quella sua ombra che non era un’ombra, ma più un riflesso d’oro.
- Caro vicino, lei conosce il mio nome? quello di battesimo intendo, che mi porto dietro da una vita. E’ importante. Ci pensi.
- No. Mi scusi, ma sa gli impegni, poi, sono cose da paese… e in fondo, che c’entra?
- C’entra, c’entra. Vede, il nome ce lo trasciniamo dietro dalla nascita, è importante sia per gli uomini che per gli animali. Mi segue?
- Ci sto provando, ma lei non vuole portare al parco suo nipote, invece?
- Bene, non divaghiamo. Mia madre e mio padre pensavano che un giorno si nasce uomini e il giorno dopo si rinasce zanzara, scoiattolo o, addirittura, pastore tedesco di razza! Comprende?
- Sempre meno…
- Ecco, se lei fosse nato cane, lo vorrebbe un nome come il mio?
- Mi scusi, ma lei allora come si chiama?
- Libero Fortunato Brigatti, piacere. Ed ho combattuto due guerre e, da allora, nemmeno i cani sopporto in catene perché la prima fortuna è la libertà. Mi capisce?
Dal silenzio si intuì che aveva capito. Perché aveva visto l’ombra d’oro della bellezza. Puoi avventurarti lontano una vita per scoprire che la meta del tuo viaggio era sempre stata lì, vicino casa. Mi mancava, a tal punto, il nonno ed era più ferita che effetto della nostalgia. Attraversava i pensieri: mi salutava nei sogni, poi spariva dietro una nuvola di vapore o rinasceva nel balenio incerto dei fanali di una macchina in corsa... verso dove, chissà.
Nessun commento:
Posta un commento